Neuropatia delle Piccole Fibre: i malati vogliono vederci chiaro

Questa pagina si occupa, sotto forma di volontariato totalmente gratuito, da parte di un gruppo di persone affette da NPF, di divulgare informazione in merito alla Neuropatia delle Piccole Fibre, attingendo alla letteratura medico-scientifica ufficiale internazionale, sia in lingua originale, che mediante traduzioni in lingua italiana, per consentire la massima fruibilità di tali informazioni a più persone possibile in Italia.” Così inizia l’avventura sul social network Facebook per alcuni malati di questa patologia, incontratisi virtualmente proprio su Facebook.
Scambiandosi “esperienze” su un gruppo chiuso, si sono resi conto di non essere soli. “SOLI“, sì. Perché in Italia i singoli malati vengono informati, dal “raro” medico in grado di porre la diagnosi, di essere “mosche bianche“, “una decina di persone al mondo“, affetti da una “malattia pressoché sconosciuta“. Di conseguenza, è naturale pensare di essere assolutamente soli a convivere con questa patologia. Ebbene, hanno scoperto che non è propriamente così.
Dopo i primi più o meno timidi appelli, alla ricerca di propri “simili”, sono iniziati racconti di esperienze surreali che hanno condotto a questa diagnosi, percorsi diagnostici impervi, battaglie per essere sottoposti ad esami, diagnosi di malattie psicologiche anziché organiche. Insomma per alcuni, un vero e proprio “calvario” prima di arrivare a dimostrare di essere affetti da una malattia assolutamente organica (non mentale), di cui nessuno aveva mai parlato loro e che, con il passare degli anni “fra color che son sospesi“, ha prodotto una condizione di sofferenza fisica insostenibile e inenarrabile, vere e proprie disabilità gravi, fino a gravissime, perdendo nel frattempo la credibilità come persona, la dignità, persino gli affetti, e qualcuno il lavoro (che serve per “vivere”… e nel loro caso per “sopravvivere” anche alla malattia). Già, perché, ad oggi, tutto quello che possono tentare di fare, è “sopravvivere“, perché, il colmo dei colmi, “oltre il danno anche la beffa“, la cosa più sconcertante e devastante per tutti, è stata probabilmente la notizia, appresa dai propri medici di riferimento, all’unanimità: NON C’E’ CURA. A dirla proprio tutta, non tutti i medici hanno avuto il coraggio di dirlo così apertamente. Ecco perché molti lo hanno “scoperto” confrontandosi con altre persone, con la stessa diagnosi da più tempo, che quindi erano già andate alla disperata ricerca delle cure. Qualcuno potrebbe domandarsi come mai abbiano capito solamente in un secondo momento di essere, ad oggi, “incurabili“. Mi vengono in mente un paio degli scenari: 1) il medico ha prescritto una montagna di farmaci e il paziente pensava che fossero una “cura a tutti gli effetti”; 2) il medico non ha prescritto farmaci perché il paziente deve essere ancora sottoposto ad ulteriori esami di approfondimento. Ma c’è anche il caso in cui il paziente assumeva già alcuni dei farmaci previsti per questa patologia, farmaci “sintomatici per altre patologie accatastate sul martoriato corpo del malcapitato, malcurato, “ex-malato immaginario”, e il medico, con un abile e gentile “gioco delle tre carte”, ha lasciato la terapia invariata.
Tornati a casa, moltissimi, o almeno chiunque avesse la possibilità di accedere ad internet (siamo ormai nell’inoltrata “Era della Comunicazione”), sono andati a cercare di capire finalmente come poter “guarire”, “trattare”, “fermare”, la neo-diagnosticata malattia non visibile agli occhi umani. Così, in vari siti e in vari social, si sono ritrovati e si sono imbattuti in questa terribile scoperta: di avere una malattia fortemente invalidante, di non aver mai “immaginato” i dolori (che peraltro sono il “piatto forte” di questa patologia), di non essere stati creduti (spesso persino dai familiari, ma soprattutto da amici, conoscenti, datori di lavoro), di aver perso praticamente tutto, di aver anche distrutto la propria famiglia per il peso dei continui, martellanti, colpi della malattia e infine, di avere accesso solamente a terapie antidepressive (per una depressione che non hanno), neurolettici (utilizzati in molte altre malattie neurologiche gravi ma che non “curano) e, volendo, in base alle “tasche”, a degli integratori alimentari che, caso strano, potrebbero invece avere qualche speranza di miglioramento fisico del sistema nervoso periferico. “Caso strano”, perché gli integratori sono così classificati poiché sono totalmente a pagamento. Per i farmaci possono esserci almeno delle esenzioni ticket. Peccato che non curino. Probabilmente entrambi i prodotti….
Dopo lo shock iniziale, a turno per ogni nuovo arrivato nel gruppo, e sempre a turno anche i “veterani”, ognuno si è messo alla disperata ricerca di cure. “Andiamo all’estero!”. Poteva essere una possibilità, fermo restando che servirebbe una disponibilità economica che ormai è, quasi per tutti, pressoché al limite della sopravvivenza. Peccato che nemmeno all’estero esista una vera e propria “cura”. Ma la storia non finisce qui! Le ricerche disperate in rete in lingue estere (principalmente inglese) hanno svelato moltissimi retroscena del tutto “oscuri” ai malati di NPF in Italia! Per esempio: negli USA, su articoli scientifici datati 2011, il numero dei malati colpiti da una forma di Neuropatia Periferica, risulta essere di 40 milioni di persone. Non sembrerebbero proprio “mosche bianche”… Sarà un errore di battitura? Quanti tra questi hanno una NPF? Poi, sempre negli USA, la diagnosi può essere sì difficoltosa, ma non una specie di “follia italiana”. La diagnosi, ad oggi, si può porre esclusivamente effettuando una semplice biopsia cutanea, dalla quale, le “piccole fibre nervose” (quindi, fibre del sistema nervoso periferico, di piccolo calibro, non misurabili mediante esami neurologici classici, quali ad esempio le Elettromiografie) risultano di densità ridotta, danneggiate e molto altro, il che sarà argomento di altri articoli in futuro. Ma il punto “nevralgico” delle “scoperte dall’America” è che in America i malati di NPF vengono umanamente studiati con esami appropriati e non trattati come “alieni” caduti da un UFO con il motore in avaria. E sempre negli USA, una volta posta la diagnosi, si va alla ricerca delle cause, con il preciso scopo di tentare delle cure a monte (cause che possono essere altre malattie acquisite, oppure ereditarie, genetiche e/o autoimmuni, ma questo merita un capitolo a parte…) Insomma, ragionando sui numeri (in Italia alcune notizie riportano 200 casi al mondo e 5 pazienti in Italia), sulla mancanza di terapie in grado di rigenerare queste “piccole fibre nervose” che provocano “enormi danni fisici”, qualcuno ha iniziato ad aprire gli occhi sulla realtà italiana, a porsi delle domande e a cercare delle risposte.
In questo articolo, il tema principale è proprio questo: alcuni malati vogliono vederci chiaro, per non restare solamente a lamentarsi (anche se ne hanno un enorme umano bisogno, date le condizioni di sofferenza con cui devono convivere), e cercare di fare un minimo la propria parte, per se stessi e per gli altri. Potrei dirla in questo modo: “Quello che non ci dicono, ce lo andiamo a prendere“. Tra queste persone ci sono anche preziose e utili competenze, così, partendo da chi sa tradurre linguaggi medico-scientifici in italiano, si è pensato di iniziare a dare voce sul web alla “questione italiana”, provando a scrivere pagine rimaste bianche per troppo tempo. Purtroppo servirà molto altro tempo per scrivere, tradurre e (si spera) migliorare la situazione di questi malati. Ma almeno si parte…